L’articolo che segue è stato pubblicato oggi dal quotidiano Terra e sul blog di Rena .
“Se spesso l’accento è stato posto sulla precarietà dell’occupazione dei giovani – calcolati in 800 mila – con contratti di lavoro a tempo determinato, quel che deve allarmare e richiedere il massimo sforzo di riflessione, è il dato dei quasi 2 milioni di giovani fuori da ogni tipo di occupazione, ormai fuori dal ciclo educativo e non coinvolti nemmeno in attività di formazione o di addestramento. Quest’area, definita con l’acronimo NEET, Not in Employment Education or Training, è composta di circa 700 mila disoccupati e in misura quasi doppia di inattivi”.
E’ stato questo uno dei passaggi chiave sui dati relativi ai giovani tra i 15 e i 29 anni del discorso celebrativo della Festa del lavoro al Quirinale pronunciato sabato 30 aprile dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (nella foto con una rappresentanza di giovani precari delle Organizzazioni Sindacali).
Un discorso forte nel quale Napolitano ha richiamato le forze sociali all’unità sindacale proprio per rispondere alle emergenze del mondo del lavoro.
“Lo sviluppo economico e la sua qualità sociale, la stessa tenuta civile e democratica del nostro Paese – ha sottolineato il Presidente – passano attraverso un deciso elevamento dei tassi di attività e di occupazione, un accresciuto impegno per la formazione e la salvaguardia del capitale umano, un’ulteriore valorizzazione del lavoro, in tutti i sensi. Questo discorso riguarda in special modo i giovani, fa tutt’uno con le risposte da noi tutti dovute alle aspettative per il futuro delle giovani generazioni”.
E sono le risposte che mancano dalla Politica… Lo sottolinea anche un’indagine della Camera di Commercio di Milano che evidenzia come i giovani milanesi raggiungano una effettiva autonomia operativa non prima dei trent’anni, e che quelli delle altre città italiane stanno anche peggio! In Europa, al contrario, occupazione e autosufficienza reddituale sono raggiunte prima, a dimostrazione della sempre maggiore difficoltà che caratterizza il sistema Italia e le sue dinamiche competitive. C’è una frattura tra padri e figli, c’è chi parla di generazione perduta, una massa impressionante e inquietante di soggetti che, nelle aree sottoutilizzate del meridione molto più che in quell’oasi che resta pur sempre il capoluogo lombardo, non intravedono nessuna possibilità di futuro.
La politica finge di ignorare cifre che, non a caso, vengono sottaciute ai cittadini, ma che nell’epoca di internet e di Facebook, sono alla portata di tutti. Siamo un paese con una media bassissima di laureati tra i 25 e i 34 anni: 20% contro il 38 del complesso dei paesi Ocse. Eppure, il tasso di disoccupazione di questi ragazzi a un anno dal conseguimento della laurea è del 17,7%, più del doppio dell’Ocse! Insomma, la domanda di laureati, e quindi di lavoro qualificato, è così bassa che non intercetta neppure un’offerta lontanissima dagli standard presenti in altri grandi paesi. Non c’è lavoro al Sud. Nel decennio 1996-2005, circa 230 mila disoccupati intellettuali hanno fatto le valigie per raggiungere altre sponde per lo più del Nord. Ma non c’è lavoro a sufficienza in tutto lo Stivale, soprattutto per chi ha ambizioni e trova solo nell’estero risposte adeguate alle proprie aspettative.
Stando ai dati Istat, gli emigrati italiani sono stati 66 mila nei primi undici mesi del 2010, con un trend in crescita galoppante di anno in anno! Un esercito che i media generalisti, televisivi in testa, non mettono a fuoco a sufficienza. Contano molto di più i venti o venticinquemila profughi e clandestini provenienti dal Nord Africa a seguito degli ultimi drammatici avvenimenti. E, naturalmente, non conta nulla il fatto che la politica dei respingimenti degli ultimi anni ha riguardato meno del 10% degli immigrati, ossia quelli che sono costretti a raggiungerci via Mediterraneo.
Occhi chiusi sui 350 mila che in media ogni anno continuano a varcare senza grandi sforzi i nostri confini! Vanno aperti, quegli occhi, soprattutto sulle cause di tanti squilibri, se non vogliamo che alla deriva, oltre ai barconi con tanti nostri coetanei sfortunati extracomunitari in cerca di un sogno quasi sempre irrealizzabile, nei prossimi anni ci vada anche il bastimento Italia.
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