“Homo sum nihil humanum a me abesse alienum”
Lucia Valenzi ama molto queste parole di Terenzio. Ha avuto curiosità di conoscere e vivere tutto quello che è proprio dell’essere umano, una cosa meno scontata e banale di quanto sembra dal momento che ha dovuto superare alcune difficoltà dovute agli esiti di poliomielite che l’hanno condizionata dall’età di quattro anni.
Studiosa di Storia contemporanea, ricercatrice in pensione dell’Università Federico II di Napoli, ha pubblicato saggi di storia sociale dell’Ottocento a Napoli e di storia di genere. Ha scritto anche testi sulla biografia e la storia politica di suo padre Maurizio Valenzi, sindaco di Napoli dal 1975 al 1983.
È dedicata a Maurizio Valenzi ed alla moglie Litza Cittanova la Fondazione, creata proprio insieme a Roberto Race a Napoli nel 2009. La Fondazione Valenzi è una istituzione internazionale, attiva nella cultura e nel sociale, di cui Lucia è Presidente.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Credo non vada idolatrata la novità a tutti i costi, indipendentemente da una consapevolezza dei bisogni reali e di validi obbiettivi. Molto inoltre dipende dal contesto. Qualcosa che in un luogo è un dato acquisito e persino superato altrove può sembrare irraggiungibile. Così a Napoli valorizzare progetti culturali validi o, che so, chiudere le buche stradali a Roma, possono non sembrare azioni particolarmente innovative, ma nel contesto lo sono.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Sembra essere la robotica, e mi pare che non si faccia molto per pensare ad uso che non si traduca di nuovo in eccessivi arricchimenti di pochi a scapito dei più.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Riuscire a valorizzare le capacità dei collaboratori, ognuno per le proprie caratteristiche, galvanizzando verso un obbiettivo comune. Molto però è dato da dinamiche interne ad un gruppo che spesso una sola persona non può governare, di qui la necessità di regole condivise, anche intimamente condivise da tutti.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Non è una sola persona, al di là del contesto familiare, alcuni insegnanti, alcuni amici, ma aggiungerei alcune letture. Personaggi di cui si è letta da giovani la biografia possono segnarti. Per me tra gli altri Antonio Gramsci, Marie Curie, Malcom X.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. Invecchiare male e non solo fisicamente ma anche e soprattutto mentalmente, perdere interesse per la vita. E per la seconda domanda lo stesso: vivere producendo e godendo gli ultimi anni e lasciare magari qualche piccola traccia di sé.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Dare stabilità alla Fondazione Valenzi che, come per scommessa, è andata avanti questi sette anni senza un sostegno pubblico, e riuscire così a realizzare un centro studi sulla memoria non solo di mio padre ma di una stagione della storia di Napoli e del Mezzogiorno, e magari anche un film su questi temi, oltre a sviluppare il nostro progetto sociale Bell’ e buon’ per l’infanzia napoletana.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Non essendo credente: la natura, con la sua bellezza e la sua indifferenza verso le nostre miserie. La volontà di molti di non vedere quello che hanno sotto gli occhi pur di perseguire i loro scopi schiacciando i bisogni degli altri.
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