“Salta e vedrai apparir la rete” (Sciamano). Un motto che ispira Jacopo Mele, Digital Life Coach.
La sua passione è esplorare le nuove soglie dell’innovazione attraverso i network di persone e le nuove tecnologie. Ha scritto le prime righe di codice a 7 anni, e il primo team sono stati i suoi tre fratelli. A 12 anni, ha iniziato a sviluppare siti web. Più avanti, a 15 anni, ha iniziato a produrre video musicali che hanno raggiunto più di 15 milioni di visualizzazioni. Tutto questo lo ha portato a studiare marketing. Contemporaneamente, assieme al suo team Uzenzu, sviluppava app mobile.
A 18 anni, è entrato nel mondo della consulenza per aiutare i manager delle aziende nelle scelte strategiche. Da allora, mentre continuava a lavorare come consulente, è stato nominato Presidente della Fondazione Homo Ex Machina e invitato a far parte del Board Junior di Prioritalia – un’associazione che rappresenta 500,000 manager italiani. Ad oggi, è membro del team Service Alliance di eFM spa e Managing Partner di YourDigital – una boutique di consulenti specializzati in Digital Transformation.
E’ il più giovane nella lista dei trenta under trenta più influenti al mondo diffusa dalla rivista americana Forbes ed è stato inserito da Wired tra i 50 personaggi da tenere d’occhio nel mondo nel 2017. L’ho conosciuto e mi ha colpito molto per la sua visione a una cena con il ceo di Apple Tim Cook.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Federico II.Egli riusciva ad essere immerso nella sua arcaica realtà, ma allo stesso tempo a essere proteso verso le soglie di innovazione, realizzando attività che potessero avere un impatto a 10, 20, 100 anni. Federico II aveva un rapporto diretto con il sapere. La sua realtà (parliamo del 1200) lo obbligava ad essere un guerriero, un dominatore, ma la sua lungimiranza gli ha consentito, ad esempio in Palestina, di negoziare per diventare re anziché combattere una crociata.
Con la stessa lungimiranza, ha fondato la prima università statale al mondo, così da evitare la “fuga di cervelli”, per sfruttare il sapere e creare una base comune di giurisprudenza, che avesse un impatto sui secoli futuri.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. L’uomo. La sua capacità di apprendimento, la sua abilità decisionale, il suo adattamento dinamico.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Il leader di un’organizzazione è il visionario, è colui che riesce a far sognare, traghettando le persone su nuovi orizzonti. Il leader è per me un “servant leader”, una guida che è al servizio dell’organizzazione, come in una piramide rovesciata in cui lui si trova in basso e cerca di spostare tutti gli altri, non perché sia avanti, ma perché guarda avanti un mondo comune. Credo che per essere Leader sia fondamentale essere percepiti dalla propria organizzazione come una figura vicina, accessibile, come nel dialogo con un genitore. Il genitore ha un’esperienza di vita, sa come funziona fuori, però accompagna il bambino nella sua crescita dandogli la libertà di affrontare la sua vita e il figlio sa di poter sempre contare sul genitore. C’è una frase in napoletano che dice “ ‘Na mamma campa cient’ figli e cientu figli nun campano ‘na mamm”.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Mio nonno.
Ma potrei dire tante persone, tutte le persone che incontro lasciano un segno nella mia vita. Altrimenti che vita sarebbe?!
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. La mia più grande speranza (oltre a riuscire ad appaiare i calzini) è che la rivoluzione che stiamo vivendo in questo momento possa essere il più possibile inclusiva. E dato che la trasformazione non la stanno facendo le macchine, ma le persone, con il loro comportamento, la mia più grande speranza è che ci si possa muovere in modo unitario, evitando che una parte del mondo diventi irrilevante all’interno della società.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Ho sempre svolto un lavoro pensando di farlo per tutta la vita. Ogni volta il mio lavoro mi consente di presidiare delle soglie di innovazione sempre crescenti e, di conseguenza, navigare su orizzonti inaspettati. Oggi sono managing partner di yourDigital, una boutique di consulenza strategica che si occupa di digital transformation. In tutto ciò che facciamo, crediamo nella sfida alle abitudini, crediamo nel pensiero hacker; sfidiamo le abitudini vivendo in “beta permanente”, in continuo cambiamento, amiamo raggiungere terre mai esplorate attraverso metodologia agile; fallendo velocemente, imparando altrettanto velocemente, ci muoviamo in avanti e così reimmaginiamo, per questo lavoriamo tutti insieme. Siamo 30 partner che si occupano di digital transformation diffusi su tutto il territorio europeo. Il mio lavoro attuale consiste nell’affiancare il primo livello dirigenziale in tutte quelle che sono le scelte strategiche per fare digital transformation. Quest’ultima per noi si basa su 4 pilastri: dall’ingaggio del cliente, quindi a come costruire un nuovo modello relazionale per comunicare al meglio con il cliente; agli strumenti che utilizzano i dipendenti, gli strumenti che consentano di sfruttare informazioni per prendere decisioni lungimiranti, così da impattare sui processi, che anch’essi poi vivranno in beta permanente. Questo ci consente di disegnare nuovi modelli di business, nuovi servizi, nuovi prodotti. Al centro rimane la persona, il cliente.
Credo di far parte di una “generazione bridge” e che il mio ruolo all’interno della società sia apprendere e trasferire immediatamente. Per questo, come Presidente di Fondazione “Homo Ex Machina” sono impegnato in progetti di orientamento e formazione verso gli under 25 e i baby boomers.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Mi fa emozionare la condivisione. Da quando si vive un semplice momento condiviso con persone care, con sorrisi cari, a quando a lavoro si trovano delle soluzioni tutti insieme, e non si riconosce da dove o da chi è venuta l’idea: è uscita dal gruppo, è stata acciuffata dall’etere.
Le cose che mi fanno arrabbiare sono… Beh, più che arrabbiare, mi infastidiscono (e voglio lavorare a supporto della situazione) quei momenti che creano confusione nella comunicazione tra le persone, che amplificano il misunderstanding. Credo si debba sempre creare un “win – win” tra le parti, e per esserci un “win – win” è necessaria una comunicazione sana.
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