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“Bisogna migliorare il sistema di finanziamento ai partiti”. La mia intervista a Democratica

Da https://www.democratica.com/focus/finanziamento-partiti-fundraising/

“Bisogna migliorare il sistema di finanziamento ai partiti”. Parla Roberto Race
Il segretario generale di Competere.EU: “Sono favorevole al sistema tedesco in cui lo Stato assicura un fondo minimo ai partiti e il resto i partiti devono trovarselo con il fundraising”

Abolire il finanziamento pubblico ai partiti per tentare di recuperare il rapporto deteriorato con cittadini e guadagnare consenso: si è fatta la cosa giusta? O sarebbe stato sufficiente definire un tetto massimo di finanziamento, disciplinare in modo stringente le modalità di impiego dei rimborsi elettorali e istituire rigorose forme di controllo? In ogni caso oggi come garantire la sopravvivenza ai partiti, senza far arrabbiare i cittadini?

Lo abbiamo chiesto a Roberto Race, segretario generale di Competere.EU e guru di Corporate strategy e comunicazione strategica, che in modo netto afferma: “Sul tema del finanziamento ai partiti e alla politica in generale è fondamentale che ci siano meccanismi trasparenti. È in gioco la democrazia. Confido che le forze politiche oggi al Governo inizino a interrogarsi su come migliorare il sistema attuale che presenta falle evidenti. Mi auguro che sia una priorità del Governo. Il Paese non può aspettare.”

Competere.EU è sempre stata in prima linea nell’analisi dei temi legati al finanziamento ai partiti e al fundraising per la politica grazie agli studi messi in campo da Raffaele Picilli e Marina Ripoli, che hanno analizzato il fenomeno già nel 2014 nel volume “Fundraising e Comunicazione per la Politica”, Rubbettino Editore, con l’introduzione di Race, e quest’anno nel libro “Come raccogliere fondi per la politica”(Rubbettino) con prefazione di Nando Pagnoncelli.

Roberto, in entrambi i libri il punto di partenza è uno: la politica ha dei costi e le risorse economiche non servono per far arricchire chi ci governa – la cosiddetta casta – ma per garantire un’attività più indipendente degli eletti. Però, come spiegarlo ai cittadini, che si sono espressi in modo chiaro nel referendum del ’93?

In entrambi i volumi gli studiosi Raffaele Picilli e Marina Ripoli, esperti rispettivamente di fundraising e comunicazione politica, hanno risposto a questa domanda, spiegando la necessità di una rigenerazione della politica nelle azioni e nelle modalità comunicative. In particolare, hanno affermato che servono trasparenza e un intervento globale in grado di mettere ordine nell’attuale quadro normativo disomogeneo e lacunoso. Per gli autori far comprendere la necessità di un finanziamento vuol dire ripartire dai territori, dai piccoli progetti e seminare la cultura del fundraising.

Il discorso di Craxi (3 luglio ’92), Tangentopoli, il crollo del Muro di Berlino, quindi la caduta delle cosiddette subculture e delle appartenenze granitiche che avevano caratterizzato il dopoguerra e spiegato la larga partecipazione al voto, la crisi economica, libri come La Casta di Rizzo e Stella, le fake news, l’alternarsi di governi diversi costretti ad interrompere l’attuazione dei loro programmi, l’esperienza di un governo tecnico: tra questi cosa ha inciso di più nell’allontanare sempre di più i cittadini dai propri eletti?

Sono tutti eventi che hanno contributo al sentimento di sfiducia che caratterizza i comuni cittadini. Anche se questa disaffezione non è solo un fenomeno italiano. Nel nostro Paese sono soprattutto gli scandali legati ai finanziamenti a far calare l’appeal della politica. Ma si può affermare che, il finanziamento illecito, anche se in forme diverse, è sempre esistito in Italia. È purtroppo un fenomeno che ha origini antichissime. Basti pensare che già duemila anni fa, Catilina e Catone, utilizzavano vino e zuppa come merce di scambio per ingraziarsi i propri elettori e, all’elargizione del vitto, aggiungevano ingressi gratuiti alle meravigliose Terme di Diocleziano a Roma. “Ricordati di votare Catilina alle prossime elezioni. È lui che ti ha offerto questo vino” : è l’iscrizione che si può leggere all’interno di una coppa, reperto archeologico del 63 a.C. Persino l’Imperatore Nerone, tristemente famoso per le sue intemperanze, cercò di porre fine al fenomeno delle tangenti e a molti fenomeni di malcostume legati alla compravendita di voti, ma senza successo.

Veniamo alla legge del 2014, che abolisce il finanziamento pubblico diretto ai partiti, ma lascia quello indiretto. E’ un unicum nel panorama internazionale? Si legge che Francia, Spagna, Germania fanno ricorso al finanziamento pubblico ai partiti. Mentre Regno Unito e States hanno un sistema misto e, cosa importante, hanno una legge sulle lobby.

Occorre fare una precisazione: anche in Francia, Spagna e Germania abbiamo dei sistemi misti, ma prevale il finanziamento pubblico. In UK e USA vi è un finanziamento pubblico, ma marginale, prevale, infatti, il finanziamento privato. In Italia siamo in un sistema basato sul finanziamento pubblico indiretto (2xmille) e sulle erogazioni liberali agevolate al 27%, ma mancano una legge sulle lobby e una nuova normativa sulle fondazioni che, invece, sarebbero fondamentali per dare il giusto bilanciamento al nuovo sistema di finanziamento e, di conseguenza, maggiori garanzie ai cittadini. Va ricordato, inoltre, che il Parlamento, nel 2014, decise di tagliare il finanziamento pubblico perché, in quattro anni, i partiti si organizzassero per raccogliere donazioni private attraverso il fundraising.

Risultato?

I partiti oggi utilizzano pochissimo e spesso, male il fundraising. Basta leggere i dati del 2xmille a dimostrazione che pochissimi cittadini hanno optato per questa forma di donazione. La maggior parte dei partiti ha affrontato il problema della carenza di fondi con il sistema peggiore: drastici tagli del personale, chiusura sedi regionali e locali, aumento dei debiti, taglio dei finanziamenti delle campagne elettorali. Zero fundraising. Zero trasparenza.

Un giudizio sulla legge?

Condivido in pieno la tesi di Picilli per il quale o si rivaluta la possibilità di introdurre in Italia una sorta di finanziamento pubblico dei partiti – sono favorevole al sistema tedesco in cui lo Stato assicura un fondo minimo ai partiti e il resto i partiti devono trovarselo con il fundraising – oppure si investe davvero nel fundraising. Il fundraising non si dovrebbe assolutamente usare una tantum e solo in campagna elettorale. Dovrebbe essere mantenuto sempre attivo, 365 giorni l’anno, proprio come fanno tantissime organizzazioni non profit, che ne ricevono enormi benefici.

Questa legge, almeno, costringe i partiti a rigenerarsi, darsi una vision accattivante, e maggiore trasparenza. Giusto?

Sì, è un’opportunità, ma siamo ancora lontani dal raggiungere questo obiettivo e ciò penalizza il fundraising.
Il tema dei costi della politica rappresenta una delle principali cause della disaffezione dei cittadini nei confronti delle istituzioni e dei partiti. Questa disaffezione complica il dibattito e quindi l’elaborazione di nuove proposte, conferendo alla politica un senso di impotenza. L’abolizione del finanziamento pubblico comporta un notevole cambiamento culturale rispetto alla tradizione italiana. Saranno le donazioni volontarie a fare la differenza. La comunicazione rappresenta l’anima e il fondamento di una buona campagna di fundraising epeople raising politico.
Purtroppo l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti sta portando ad una situazione paradossale e pericolosa: il ritorno del finanziamento illegale, ancora più spinto di prima. A mio avviso, questo fenomeno si è acuito specialmente nel corso dell’ultima campagna elettorale. Infatti, è accaduto che molte volte è stata messa in dubbio la provenienza di donazioni a sostegno di costose campagne.

Dunque, zero rigenerazione da parte dei partiti?

Per ora vedo solo ombre. Vedo anche con grande interesse cosa possono diventare i 5 Stelle con questa legge e al contempo penso che partiti come il Pd abbiano perso l’occasione di usare il fundrasing per tornare tra la gente.

Concentriamoci sul fundraising, che ha contribuito al successo di Obama e che Renzi ha sperimentato nelle primarie del PD di sei anni fa. A che punto siamo in Italia?

Il fundraising per la politica è in uso negli Stati Uniti dall’inizio del 1900. Obama ha utilizzato solo alcune tecniche nuove e molto i social. Quando Renzi ha raccolto fondi per la prima campagna elettorale, quella del camper in giro per l’Italia, ha fatto solo raccolta fondi e non fundraising. La differenza tra le due azioni è enorme. Nel fundraising si punta alla costruzione del rapporto tra donatore e chi riceve il dono. La donazione è inizialmente in secondo piano.

Nei due libri ci sono vari consigli, addirittura un decalogo, per una buona raccolta fondi della politica. Prova in questo momento a chiamare a raccolta un gruppo di cittadini e a convincerli a donare per un partito o un candidato.

Raffaele Picilli e Marina Ripoli lo spiegano chiaramente. Convincere i cittadini non sarà facile. Senza una comune azione di sensibilizzazione da parte dei partiti in tanti avranno difficoltà a capire perché sostenere la politica. Il Terzo Settore riesce a fare molto bene fundraising proprio perché i donatori capiscono le necessità a sostegno delle buone cause. La politica dovrebbe fare la stessa cosa.

Le tre caratteristiche di un buon fundraiser e pensi che questa attività possa diventare una professione?

Il fundraising è già una professione e i partiti e le organizzazioni che non lo capiscono ne pagano le conseguenze alla lunga. Un buon fundraiser è un professionista aggiornato e preparato che conosce, nel nostro caso, molto bene i meccanismi della politica. E’ un professionista che lavora con l’addetto stampa, il comunicatore politico e naturalmente il candidato o il segretario del partito. E’ fondamentale che lavori con etica perché le donazioni, quando si parla di politica, vanno ben pesate. In Italia non ci sono scuole in grado di organizzare corsi specifici sul fundraising per la politica. Ci sono alcune università o scuole private che propongono dei moduli, ma conviene informarsi bene sui programmi e sui docenti.

Pensi che si arriverà ad una legge sulle lobby?
Ho paura di no. Eppure basterebbe adottare in Italia le procedure utilizzate a livello comunitario.

Perché tanta resistenza e come facciamo a far passare nella testa dei cittadini che lobby non è una parolaccia?

Rispondo con la definizione di “lobby” del dizionario di economia e finanza dell’Enciclopedia Treccani che fornisce un quadro piuttosto completo delle opportunità e dei rischi di queste attività. I gruppi di pressione possono concorrere al bene della democrazia nella misura in cui – agendo dall’interno delle istituzioni e non dal loro esterno, in quanto riconosciuti e regolamentati – diano luogo a una ‘competizione’ che realizzi un equilibrio tra spinte e pressioni contrastanti, volto al conseguimento dell’interesse generale. Possono, al contrario, rappresentare un ostacolo o un pericolo per l’interesse generale, quando il processo democratico sia dominato da un numero esiguo di gruppi di pressione ‘speciali’ – ossia raramente regolamentati e articolati – che difendono interessi parziali, o quando, più in generale, lo Stato si ponga come unico detentore dell’interesse comune, che difende contro interessi particolari giudicati perturbatori, anche se tollerati.

La prima visione coincide con il modello anglosassone e statunitense di lobbying, in cui si accorda legittimità alle attività dei gruppi di pressione.

La seconda, con il modello latino-francese, in cui tali gruppi difficilmente sono riconosciuti come elementi costitutivi della democrazia. Bisogna iniziare a fare chiarezza sul termine e non utilizzarlo in ottica dispregiativa distinguendo gli affaristi e i malfattori dai professionisti ch rientrano nella famosa definizione di J. F. Kennedy : “I lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano 10 minuti e mi lasciano sulla scrivania cinque fogli di carta. Per lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni e decine di pagine”. Io amo giudicare i Governi e i Parlamenti dai fatti. Oggi questa maggioranza ha i numeri arrivare ad una legge. Speriamo la facciano.

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