Il fondatore della Apple, Steve Jobs, sosteneva che la differenza fra un leader e un epigono era la capacità di innovare. Modellare il presente non è certo facile, ispirandosi a valori condivisi si devono poter raggiungere nuove mete e per farlo c’è bisogno di leader innovatori e consapevoli.
Vincenzo Manfredi è esperto di comunicazione, relazioni istituzionali e public affair. Si è occupato di corporate identity e corporate social responsibility in Capitalia, prima, e in UniCredit poi. Formatore, docente e blogger, fa parte della Consiglio regionale del Lazio della Federazione Relazioni Pubbliche Italiane. Ha fondato il network VM Advocacy and Public Relation. Tenace e determinato, non rinuncia all’approccio diplomatico. Public diplomacy e nation branding sono i suoi interessi specifici e i suoi campi di elezione. Ha scritto di etica e sostenibilità. Comunicazione e lobbying non possono prescindere dalle scienze umane ed è per questo che non si può non essere inclini ad individuare e stimolare talenti.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. E’ innovatore colui che è capace di realizzare se stesso, di mettere in pratica idee, magari difficili da comprendere a prima vista, ma orientate a produrre cambiamenti positivi, vantaggiosi, apprezzabili. L’innovazione prima di essere una nuova idea o un nuovo prodotto è un pensiero, una visione. Avere la capacità di tracciare linee di rinnovamento, nuove strade anche in ambiente accidentato: questa è innovazione. Mancanza di consapevolezza, burocrazia, limiti culturali e analfabetismo funzionale non possono essere di ostacolo alla forza incontenibile della novità. Quando è tale.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Politica e sociale. Il resto è contorno. Innovazione nella politica e nel sociale in un quadro di rinnovata comunicazione. Proprio dalla comunicazione si riparte quando il quadro generale è ormai inquinato dalla manipolazione e dalla demagogia che creano temporanee fortune politiche, ma disastri sociali difficilmente contenibili. Comunicare è, etimologicamente, “mettere in comunione”; questo in una cornice di equilibri e valori di riferimento stravolti che sembrano quasi segnare il fallimento della comunicazione medesima. La diffusa a tendenza alla comunicazione “contro” deve trovare un nuovo paradigma di riferimento: comunicare “per”. E’ già questo, di per sé, innovazione.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. il leader modella le identità a partire dalle quali elabora la strategia di gestione della reputazione e disegna le regole di governo della relazione con ogni stakeholder. Il contesto ormai attribuisce agli asset intangibili e simbolici un peso ed un valore spesso superiori a quelli tangibili. Il leader, quindi, è gestore di complessità. Non sarà più sufficiente guidare team distinti per competenze ma si dovrà perseguire l’integrazione funzionale, e culturale, delle componenti coinvolte nei vari processi; sarà determinante realizzare piattaforme relazionali in grado creare senso, significato e valore all’interno e all’esterno dell’organizzazione. E’ un universo di aziende globali a forte leadership che si confrontano all’interno di sistemi sociali che vedono con sospetto e fastidio le figure di vertice che non manifestano carisma.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Credo di essere in debito con la vita, ho ricevuto molto di più di quanto mi aspettassi.
Ho avuto ottimi maestri e spero di aver dato un piccolo contributo a ciascuna delle persone che ho incontrato.
Sono grato a due partner con i quali condivido percorsi complementari e integrati con la mia VM Advocacy and Pr. Il primo è Leonardo Iacovelli, fondatore della Iacovelli and Partners: insieme ci occupiamo di lobbying, advocacy e sviluppo di piattaforme relazionali in Italia e all’estero. C’è un grande bisogno di rappresentatività e di competenze cross per rendere la competitività un valore duraturo ed in questo le relazioni istituzionali e il public affair possono fare la differenza. Con Francesco Rotolo, l’altro mio partner e fondatore del network Storyfly, ci occupiamo di un innovativo percorso di consulenza in brand management e reputation economy: strutturiamo percorsi di sviluppo di consulenza in comunicazione e governance basata sul corporate brand, attraverso processi di rivalutazione strategica degli asset intangibili, armonizzandoli nel sistema aziendale.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. La mia più grande paura è legata allo sviluppo dei grandi temi emergenti. Le migrazioni, le modificazioni di paradigma in settori quasi immutati a partire dalla rivoluzione industriale; ci confronteremo, tra breve, con nuove realtà che richiederanno approcci qualificati ed una comunicazione ben orientata. Temo il disordine che potrebbe conseguire all’impatto con queste realtà che, tuttavia, segnano anche la mia speranza più grande: quella di una svolta epocale che veda tutte le migliori energie proiettate per garantire ai nostri figli un futuro di pace e serenità pari, almeno, a quello che abbiamo avuto garantito noi.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. I miei progetti attuali ruotano intorno alla creazione di un network di professionisti del nation branding con i quali strutturare una proposta per la rappresentanza degli interessi italiani all’estero. Ancora troppe sono le istituzioni che non hanno rappresentatività per il Sistema paese. Esistono modalità affidabili per fare public diplomacy e nation branding sulle quali sto lavorando da tempo.
Inoltre il mio impegno nella Ferpi Federazione Relazioni Pubbliche Italiana mi porta naturalmente ad occuparmi di tutti i temi legati alla comunicazione. Insieme a Giuseppe de Lucia, delegato Ferpi Lazio, al presidente Ferpi Pier Donato Vercellone e a tutti i colleghi della Federazione, crediamo nel valore strategico della comunicazione e delle relazioni pubbliche per creare e innovare e dare un forte contributo all’innovazione del Sistema Italia.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. E’ la prevalenza del mediocre che mi ferisce; è l’ottusità di certa burocrazia inefficiente e spesso matrigna a darmi un senso di oppressione che mi obbliga ad impiegare risorse degne di miglior causa. E’ il sorriso di mio figlio il lenimento di queste sensazioni; i suoi discorsi che cominciano a farsi articolati e ricchi di contenuti. Li ascolto col sorriso e con l’attenzione di chi cerca l’innovazione in ogni segno.
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