“Senza uno spirito comunitario, un ecosistema dell’innovazione non può sopravvivere”, dice Linda Hill, docente ad Harvard e co-autrice del best seller “Collective genius”. E’ questa una delle frasi che ispirano Michele Popolani (Udine, 1963), consulente di management e family business, nel suo lavoro con le imprese sui temi del cambiamento organizzativo, delle risorse umane e del passaggio generazionale. Popolani, dopo la laurea in ingegneria, si è specializzato nelle tematiche della comunicazione all’Università Cattolica di Milano, è autore del libro “Impresa familiare e passaggio generazionale” (ed. Il Sole 24 Ore), collabora come docente al Master in Risorse Umane dell’Università di Udine, ha fatto parte della faculty di Lean Experience Factory, il laboratorio esperienziale della società di consulenza internazionale McKinsey & Co, e scrive di industria sul sito mysolutionpost.it.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Innovatore è chi riesce a immaginare quello che gli altri non vedono, perché ha il coraggio di scegliere il sentiero più difficile, e questo gli dà la forza di andare controcorrente e di promuovere il cambiamento.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Secondo me a cambiare il mondo sarà “la rivoluzione dell’attenzione”. Nell’epoca della fretta, della mancanza di tempo e della velocità, chi guarderà negli occhi il proprio interlocutore, riuscendo a stabilire una relazione vera e profonda, potrà fare la differenza.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Il vero leader, secondo me, è chi riesce a percepire in che fase di vita si trova l’organizzazione in cui opera e quali sono le sfide all’orizzonte, e a trasferire questa percezione al suo team, aiutando tutte le persone che lavorano con lui a crescere.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Per me è stato un privilegio seguire l’attività di Alfredo Ambrosetti, che con la sua società di consulenza ed i suoi collaboratori ha portato in Italia il tema della continuità e del rafforzamento delle famiglie imprenditoriali, ed è stato un privilegio imparare applicando i suoi insegnamenti.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. La preoccupazione non può che andare alle tante nubi che oggi oscurano lo scenario internazionale, con la speranza che come europei non ci dimentichiamo dei decenni che abbiamo vissuto senza guerre, e che questo possa costituire una premessa affinché i nostri figli possano vivere un futuro ricco di opportunità.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Nel mondo dell’impresa, oggi, la sfida che sto affrontando più frequentemente è quella dell’uscita dal modello “fordista”, legato ai pochi che pensavano e ai tanti che eseguivano. Il Novecento, molto spesso, lo abbiamo vissuto così, ma oggi la vera sfida è quella della condivisione e della capacità di integrare pensieri diversi, a partire da quello femminile. Sono convinto che se in futuro le donne avranno più spazio potremo vivere in un mondo migliore, ed è per questo che il cosiddetto “diversity management” è il tema che mi affascina maggiormente se guardo al futuro.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare.
R. Beh, se rimaniamo nell’ambito lavorativo, per me è sempre emozionante vedere una passione vissuta con amore e dedizione che si trasforma in buoni risultati professionali o imprenditoriali, ed è fonte di grande tristezza osservare quelle situazioni in cui talento ed entusiasmo non vengono valorizzati come meriterebbero.
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