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Gianluigi Viscardi: oltre gli schemi tradizionali, unendo visione innovativa e concretezza

Nato a Bonate Sotto (BG) nel 1952, è perito meccanico. Ha maturato le prime esperienze professionali nel settore della meccanica principalmente presso Gildemaister Spa sino al 1977. Nel 1982 ha fondato, insieme ai fratelli, la Cosberg S.p.A., di cui è Presidente del Cda.

Il gruppo Cosberg, costituito dalle controllate Automac Srl in Italia, da quelle estere in Francia, Slovenia e Brasile, e dalla collegata Cosvic Srl, conta circa cento persone e produce macchine speciali e sistemi per l’assemblaggio per i più svariati settori dell’industria, occupandosi dell’intero ciclo: dalla progettazione alla costruzione e messa in funzione con impiego delle più innovative tecnologie e conoscenze nell’ambito della
meccatronica, della robotica e dei sistemi di visione.

Da sempre convinto sostenitore dell’importanza dell’Open Innovation, continua a dedicare grande impegno e risorse alla valorizzazione delle “persone” e del contesto etico e sociale in cui operano le aziende favorendo l’inserimento e la crescita dei giovani talenti.

Attivamente impegnato nel mondo associazionistico, ricopre importanti ruoli all’interno di Confindustria, (Vice Presidente di Piccola Industria Nazionale con delega all’innovazione e Presidente Piccola Industria di Confindustria Lombardia) e in altre associazioni (Intellimech, Ucimu, AIDAM ecc.). E’ inoltre Presidente del Cluster Tecnologico Nazionale Fabbrica Intelligente.

Tra i vari riconoscimenti, particolare menzione meritano l’IMP³ROVE Award 2015 (Premio Internazionale per l'Innovation Management) ricevuto nel 2015 a Istanbul dal Presidente Turco Erdogan, il Premio Nazionale per l’innovazione ricevuto nel 2012 dalle mani del Presidente del Senato, il Premio Italiano per la Meccatronica ed il Premio Imprese per l’Innovazione, anche questi nel 2012.

D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Per la mia personale esperienza, l’innovatore è “un costruttore del futuro”, portando avanti una visione “di rottura” con gli schemi tradizionali.
Secondo me questo significa in concreto pensare a “nuovi modi di fare le cose”, a nuove idee senza farsi condizionare da concetti, metodi e strumenti che fanno parte dello “stato dell’arte”.

D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Con la quarta rivoluzione industriale, la Fabbrica cambierà radicalmente. Quindi non parlerei di una innovazione specifica, ma di sistemi produttivi tra loro interconnessi, della loro gestione e monitoraggio a “portata di mano”. Lo dobbiamo allo sviluppo dell’Internet delle Cose e dei Big Data, oltre alla Robotica Collaborativa. Una svolta che toccherà anche il mondo del consumer e il nostro stesso quotidiano.
Quel che si può notare è che da qualunque punto di osservazione la si guardi, questa rivoluzione è destinata a mettere sempre l’uomo al centro: forse è questa la vera innovazione.

D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Un leader è una figura che non si limita a comandare, ma a dare una visione e a guidare un’organizzazione, che si tratti di un’azienda, di un’associazione o di un limitato gruppo di persone. Il leader deve essere in grado di condurre il gruppo per garantire l’efficienza, lo sviluppo ed il miglioramento continuo.
La principale dote del leader deve essere quindi quella di saper combinare visione e concretezza, una visione di partenza che viene poi concretizzata in modo pragmatico: il leader rappresenta il ponte fra questi due elementi.
La conoscenza all’interno dell’organizzazione è la leva da utilizzare, con il supporto delle nuove tecnologie che rendono peraltro possibili scenari inimmaginabili fino a non molto tempo fa.

D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Dopo un’intera vita spesa in azienda e in associazioni, sono diverse le persone che hanno lasciato il segno, aiutandomi a crescere, come persona e come professionista. Di queste ne ricordo una in particolare, perché ha dato inizio alla mia affermazione come imprenditore: si tratta di Adelchi Ferrari, uno dei primi miei clienti. Ha creduto in me nonostante non avessi un nome, forse perché ha saputo cogliere le potenzialità nascoste. E’ stata una scommessa, di fatto vinta da entrambi. Non è quindi solo una storia professionale di successo, ma qualcosa che va oltre. Mi ha insegnato ad imparare dagli errori, a farne tesoro e a non scoraggiarmi nonostante le immancabili difficoltà iniziali.

D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. Più che paura, una forte preoccupazione su cosa e come possa lasciare in eredità quanto fatto, anche se per me non è certo venuto il momento di lasciare. Non penso tanto a quanto ho costruito, quanto alle idee che mi hanno ispirato, agli obiettivi e al metodo.
Vorrei che tutto questo fosse compreso e portato avanti, per continuare il lavoro di sviluppo. Non solo nella mia azienda, dove peraltro ho la fortuna di essere circondato da persone che possono garantirne la continuità; ma anche sul territorio, per il cui bene si è lavorato, insieme a molti altri professionisti, nelle varie forme associative, che qui non sto a menzionare.
La speranza è semplice: che la preoccupazione di cui parlo possa rivelarsi infondata.

D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Sto cercando di preparare la mia azienda per inseguire, o meglio per anticipare, la rivoluzione in corso, consapevole del fatto che i risultati non li avrò nell’immediato.
Vorrei che la mia azienda fosse sempre più innovativa, che “il mettersi in discussione ogni giorno” diventi, se già non lo è, una sorta di “caratteristica genetica”.
La registrazione della conoscenza per aumentare il valore della mia azienda, l’open innovation ed il capitale umano sono i punti chiave sui quali intendo concentrare il mio lavoro attuale e futuro, sfruttando al massimo le nuove tecnologie.

D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. Continua ad emozionarmi il progettare macchine di assemblaggio: per me rimane il più bel lavoro del mondo. Idee nuove, soluzioni innovative: e vengo pure pagato per farlo.
Cosa mi fa arrabbiare? Una su tutte: non essere capito. Alcune volte incontro difficoltà nel trasmettere il mio pensiero o il mio metodo ai collaboratori e siccome ci metto passione e ne conosco i benefici, mi arrabbio quando non viene recepito nel giusto modo.

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