“Stiamo vivendo una seconda rivoluzione individualista, dove si sta attuando un processo di personalizzazione che non cessa di ri-modellare in profondità tutti i settori della vita sociale”.
Questa frase esprime al meglio il lavoro e la ricerca di Elena Croci.
Esperta in comunicazione e marketing culturale, nel 2005, da giovane imprenditrice, fonda Comunicazione Culturale (www.comunicazioneculturale.it ) ed ha clienti come Istituti bancari, Fondazioni e Istituzioni pubbliche e private, tra cui Merrill Lynch, Banca della Svizzera Italiana e La Biennale di Venezia.
Laureata in scienze umanistiche alla Université Sorbonne di Parigi, con un dottorato sulla società e il futurismo, nel 2004 Elena diventa ufficiale dell’Esercito italiano come riserva selezionata.
Attraverso il P.V.T (potenziale di valorizzazione del territorio) sviluppa un modello analitico basato su variabili quali società, territorio, economia e cultura, che analizza e misura il rating del territorio insistendo su potenziali e unicità locali. Elabora modelli per la crescita del turismo analizzando le potenzialità del territorio per l’accrescimento dei cosiddetti nuovi mestieri per lo sviluppo dei distretti, applicando queste metodologie per Il Parco Agricolo Sud di Milano e il Comune di Ferrara.
Da capitano dell’Esercito italiano, dal 2005 compie diverse missioni in Afghanistan e Medio Oriente dove per anni sviluppa progetti sulle popolazioni locali, approfondendo tematiche come l’identità e il concetto di società moderna, producendo pubblicazioni anche per il governo locale. Per questo ha ricevuto alcune onorificenze, tra cui la medaglia Nato Non Article 5 e la Croce commemorativa.
Nel 2013 è a Gerusalemme per collaborare alle strategie di comunicazione volte alla realizzazione del Terra Sancta Museum.
Nel 2014 è autore dei contenuti per il padiglione dell’Azerbaijan a Expo 2015.
Docente in marketing culturale presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, ha insegnato Turismo Culturale presso l’Università del Turismo di Lucca e l’Università Cattolica di Milano.
Oggi questi studi ed esperienze costituiscono un importante know-how per potere collaborare con diverse Istituzioni per comprendere i cambiamenti in atto nel continente europeo.
Autrice di diverse pubblicazioni, è attualmente consulente per società nazionali e internazionali per un nuovo ripensamento del significato di benessere all’interno di una dimensione lavorativa.
Il suo ultimo lavoro è uno studio sui nuovi driver del benessere, e una loro possibile misurazione, fatto con Deloitte Private.
D. Chi è un innovatore per te? Perché?
R. Gli innovatori sono coloro che creano cose nuove, ancora di più sono coloro che creano fiducia attraverso cose nuove.
D. Qual è l’innovazione che cambierà il mondo nei prossimi anni?
R. Sicuramente sarà qualcosa legato alla medicina. Verranno salvate molte vite e al contempo verrà allungata ulteriormente la vita media. Non so se quest’ultima cosa possa portare beneficio alla collettività, perché ben conosciamo i numeri degli “abitanti” della terra. Si dovrà trovare una modalità per gestire le conseguenze di questi cambiamenti e non sarà facile.
D. Qual è il ruolo di un leader in un’organizzazione?
R. Avere uno sguardo che anticipa i problemi, avere la capacità di trovare un dialogo empatico con tutti sapendo cogliere il valore di ogni persona. Penso che il coinvolgimento individuale di ogni singola persona possa rafforzare la visione d’insieme. Essere leader vuole dire sapere motivare con le giuste parole mostrando anche la propria essenza.
I leader che hanno solo l’atteggiamento da leader durano poco.
D. Una persona che ha lasciato il segno nella tua vita?
R. Sono tante le persone che mi hanno fatto riflettere; una di queste è stato il custode del Museo delle antichità di Kabul; un uomo di cui hanno parlato anni dopo. Quando lo conobbi, dopo qualche domanda, mi mostrò con grande orgoglio i tesori che era riuscito a salvare dalle razzie dei talebani. Magnifici buddha erano stati nascosti in stanze sotterranee; lui, una persona molto umile che non aveva studiato ma che amava ciò che faceva, capendone l’importanza, ha salvato un pezzo di patrimonio dell’umanità.
D. La tua più grande paura/la tua più grande speranza?
R. Sinceramente non so che mondo lasceremo ai nostri figli, tutto è cambiato così velocemente negli ultimi cento anni, da tutti i punti di vista; il clima in primis, ma poi anche noi abbiamo esigenze molto più specifiche e individualiste. La tecnologia ci può aiutare, ma a mio avviso non dobbiamo abusarne pensando di essere invincibili e immortali. La speranza la vedo negli occhi di quei ragazzi che iniziano a lavorare, anche solo per mantenersi all’università; sguardi pieni di voglia di fare, di conoscere il mondo e persone diverse da loro, sguardi curiosi, positivi. Ecco, forse loro riusciranno a trovare l’equilibrio e a riparare lo sfruttamento che il consumismo sfrenato dei decenni scorsi ha provocato nel nostro pianeta. Un’eredità pesante, ma forse loro sapranno fare meglio di noi.
D. Il tuo progetto di lavoro attuale e quello futuro.
R. Amo molto la ricerca applicata alla vita quotidiana. Penso che ci troviamo in un momento di svolta dove ci si sta aprendo a una modalità più trasversale, interdisciplinare.
Il mio recente studio con Deloitte sui nuovi driver del benessere ne è la prova; uno sguardo umanistico, empirico, associato a una metodologia econometrica, dove solo i numeri possono dirti se hai ragione o meno, ha prodotto risultati veramente sorprendenti. Ecco, penso che questo connubio possa essere la chiave per una ricerca aperta, reale verso un mondo e una società molto diversa da quella di soli dieci anni fa.
Dal mio “osservatorio” vedo come tutto si stia trasformando; modalità di lavoro, produzione, comportamenti e “uso” delle cose da parte dei consumatori, tutto molto affascinante. Una nuova definizione della società contemporanea, dove mi piacerebbe dare il mio contributo per un mondo più consapevole.
D. La cosa che più ti fa emozionare e quella che ti fa più arrabbiare
R. La Vita della Natura che, nonostante tutto, emerge combattente per continuare. Ciò che mi fa più arrabbiare è la prepotenza dei forti sui deboli.
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